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AGROALIMENTARE ed ENOGASTRONOMIA

Carne rossa, CIA Siena: la qualità degli allevamenti senesi va oltre i ‘dossier’

9 Novembre 20154 Mins Read
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chianina650Dalla patria della pregiata carne di razza Chianina e della cinta, la Cia Siena invita a non creare allarmismi ingiustificati Non si è ancora placato l’eco dell’allarme lanciato dall’Oms secondo cui il consumo di carne rossa, in particolare quella lavorata, potrebbe essere cancerogena al pari di fumo, benzene ed amianto. Sono sotto attacco, senza distinzioni, la carne di maiale, salumi ed insaccati in primis, ma anche le carni di vitello.

“Siamo in un territorio particolarmente vocato come la Valdichiana – sottolinea il presidente Cia Siena Luca Marcucci -, patria di una carne di eccellente qualità come quella di razza Chianina. Proprio a Bettolle, è nato Ezio Marchi, il padre di questa razza così pregiata. I nostri allevatori producono nel pieno rispetto dell’ambiente e del benessere animale, ed il prodotto finale è una carne che non teme nessun dossier in fatto di sicurezza alimentare; ovviamente con un consumo consapevole e non in eccesso, ma questo è un discorso che potrebbe tipo di cibo. Lo stesso vale anche per gli allevamenti suini, e non dimentichiamo la cinta senese o le altre razze allevate comunque allo stato brado o semibrado. Non possiamo quindi accettare attacchi indiscriminati sul consumo della carne rossa neanche da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità, che non ha fatto alcuna distinzione fra le produzioni diverse fra di loro e fra abitudini alimentari che cambiano in ogni Paese. Così si rischia di mettere in ginocchio un settore già in difficoltà come la zootecnia”.

Se c’è una “colpa” nello studio dell’Oms – sottolinea la Cia senese -, è quella di non tenere conto degli stili di vita e delle peculiarità di consumo nei diversi Paesi. Ma così si rischia di penalizzare un settore strategico, peraltro già in forte sofferenza, come quello della zootecnia. Tanto più che in Italia il consumo di carni e salumi è metà della soglia di rischio indicata dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità. Secondo le ultime stime, il consumo annuo di carne in Italia oggi si attesta al di sotto degli 80 chili pro capite, di cui 21 chili per carne bovina; 37 chili per carne suina; 19 chili per carne avicola e poco meno di 2 chili per carne ovina.

“Questo determina che il consumo di carne nel nostro Paese – spiega il direttore Cia Siena Roberto Bartolini – sia molto al di sotto delle soglie di rischio dell’Oms: gli italiani mangiano in media 2 volte la settimana 100 grammi di carne rossa e appena 25 grammi al giorno di carne trasformata”. Ma vi è un altro elemento che non è stato considerato: “Le nostre carni sono tutte di altissima qualità – continua il direttore della Cia- non sono trattate con ormoni e sono ottenute nel rispetto del benessere animale e dei rigidi disciplinari di produzione”.

Per contro, la zootecnia (in Italia) vive una crisi fortissima e solo grazie all’export il comparto delle carni e dei salumi “made in Italy”, che vale 30 miliardi e dà lavoro a circa 130 mila persone, sta reggendo la congiuntura negativa. E’ anche il caso di notare – osserva la Cia – che gli oncologi italiani hanno affermato, a fronte delle dichiarazioni dell’Oms, che mangiare carne due volte alla settimana e alimentarsi in modo equilibrato con i salumi di qualità italiani, non ha alcun effetto sulla salute. Va inoltre considerato che in Italia ci sono oltre 600 diversi salumi, che sono espressione della biodiversità e della varietà del nostro Paese.

Non è la prima volta che si colpisce la zootecnia e il settore dell’allevamento con allarmi ingiustificati, almeno per l’Italia: successe con la Bse, la cosiddetta mucca pazza, accadde con l’influenza aviaria: una psicosi che determinò il crollo del settore avicolo senza nessuna evidenza scientifica. Ecco perché”vogliamo evitare che tutto questo si ripeta oggi. Come agricoltori siamo impegnati a offrire ai consumatori cibo sano e di qualità e oggi sentiamo la necessità di rinsaldare quel legame fiduciario garantendo i nostri prodotti. Semmai l’Oms dovrebbe vigilare sull’uso di mangimi di dubbia qualità – afferma Marcucci -, su stili di consumo che nulla hanno a che vedere con l’Italia. Vi è un richiamo da parte dell’Oms alla dieta mediterranea: giusto, ma s’ignora che Spagna e Italia sono anche i Paesi con la maggiore produzione e il miglior consumo ad esempio di prosciutto crudo. Per questo chiediamo sia al Mipaaf che al ministero della Sanità di riaffermare, oggi più che mai, la qualità e la salubrità dei nostri prodotti e del nostro regime alimentare. Quel regime alimentare – conclude – che è possibile grazie all’impegno e al lavoro delle imprese agricole che rischiano di essere ingiustamente penalizzate da questa campagna di nuovo allarmismo”.


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