I militari avevano raccolto la notizia che l’uomo spacciava in casa e quindi, in borghese, si sono organizzati per monitorare per un giorno i movimenti casalinghi dell’uomo. Uno di loro si è posizionato in cima alle scale del condominio nel quale il sospettato risiede e ha notato che il 45enne, ben noto per pregresse esperienze giudiziarie e denunce a carico, a più riprese è entrato in un disimpegno condominiale, una grande stanza ad uso comune, senza portare con sé nessun materiale, almeno apparentemente. Dunque senza un motivo ben determinato, visto che nei ripostigli ci si va per prendere o portare qualcosa.
Quando poi, rompendo gli indugi, i militari hanno proceduto alla perquisizione domiciliare, si sono sentiti poco fortunati, vista l’iniziale inutilità delle ricerche, fino a quando non hanno deciso di disturbare l’anziana nonna dell’uomo, serenamente seduta sulla sua poltrona.
E proprio sotto il comodo cuscino della donna i carabinieri hanno rinvenuto una prima tavoletta di hascisc. Ottenuto questo primo risultato, i militari hanno deciso di comprendere il perché delle visite apparentemente inutili dirette nel vano condominiale.
Dopo quasi un’ora di ricerche, all’interno di un’intercapedine, i carabinieri hanno rinvenuto ulteriori quattro tavolette di hascisc. Come poterle attribuire con certezza all’indagato? Certo non solo in relazione alle strane passeggiate di questi. Tutte le tavolette erano confezionate allo stesso modo con cellophane e un adesivo che mostrava l’immagine di una foglia di marijuana. La civetteria di apporre un marchio di fabbrica artigianale, quasi a “garanzia di qualità”, aveva tradito lo spacciatore, a cui potevano essere attribuiti quasi 600 grammi di sostanza stupefacente, tali da consentirne l’arresto.