Che il gioco possa essere pericoloso sino a creare dipendenza mentale, lo sanno tutti e ci sarebbe da discutere sulla presenza di quegli apparecchi mangiasoldi all’interno di tanti esercizi pubblici. Ma al di là delle considerazioni morali, la legge consente determinate forme di gioco e gli avvertimenti sulle possibili degenerazioni del gioco stesso, lasciano purtroppo il tempo che trovano. Per il codice penale sono giuochi d’azzardo quelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente o quasi aleatoria. In sostanza poi esistono delle eccezioni e si può dibattere sul tema delle piccole poste, che se ripetute in maniera ossessiva, possono divenire grandi e raggiungere cifre che conducano alla rovina intere famiglie. Si può discutere anche sul fatto che in gioco non sia aleatorio perché richiede una qualche abilità, l’abilità dell’uomo che compete con la macchina e che stranamente vince in una percentuale di volte infinitesimale. Tutti abbiamo avuto modo di conoscere qualcuno che ha distrutto la propria esistenza e quella dei familiari a causa del gioco. Talvolta abbiamo ritenuto che queste persone non meritino compassione per il fatto di aver raggiunto livelli di insensatezza al di sopra della normale tollerabilità. Il dibattito comunque resta aperto e il problema non potrà essere superato tanto facilmente.
Di sicuro, una qualche giustificazione morale Ernesto se l’era data, e l’occasione era troppo ghiotta: in quella odiosa macchinetta ci aveva perso l’anima dei soldi ed ora quella bestiolina era li aperta ed esanime, quasi a voler sfottere le proprie vittime. Il tizio che andava sistemandola e preparandola per le future performances, aveva estratto molte manciate di monete e le aveva racchiuse in dei sacchetti che ora stazionavano inermi sulla fiera meccanica. La ragazza del bar sembrava distratta e con un po’ di rapidità un sacchetto poteva essere sottratto. Chi se ne sarebbe accorto? Probabilmente nessuno! La tentazione era stata troppo forte e così Ernesto aveva afferrato rapidamente un sacchetto ricolmo di monete da uno e due euro e lo aveva infilato in tasca, eclissandosi poi dalla porta più vicina.
Il ragazzo della manutenzione non era però svagato, si era fidato ma non soffriva di alzheimer, tanto che si rendeva subito conto dell’assenza di uno dei contenitori. La ragazza non si era accorta di nulla, ma conosceva il nome di battesimo di quello sfortunato avventore, che era anche l’unico cliente presente nell’esercizio pubblico in quegli istanti.
Dopo la denuncia-querela, i Carabinieri della Stazione di Poggibonsi avevano in mano un nome e una descrizione particolareggiata dell’uomo dalla mano lesta, e questi elementi in una cittadina dove ci si conosce tutti possono bastare. Sentiti alcuni frequentatori di quel bar, i militari dell’Arma arrivavano spediti a casa di Ernesto, di certo non lo trattavano male, perché in realtà, sentivano di dover esprimere una qualche forma di umana comprensione nei suoi confronti. I fatti erano però contro di lui, lo identificavano e lo deferivano così alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena per il reato di furto. E la refurtiva? Non poteva essere rinvenuta. Forse Ernesto se l’era già giocata in qualche altro micidiale congegno meccanico.