Se oggi abbiamo questa grande cultura enologica, lo dobbiamo molto a chi ci ha preceduto e ha contribuito con gli antichi know how a tramandare conoscenze, pratiche e usanze capaci di far crescer nel tempo il prestigio di tutto il comparto enologico toscano, di cui il Sangiovese e i vitigni autoctoni rimangono indiscutibilmente l’emblema.
Non tutti questi vitigni però sono stati tramandati nel tempo e anzi, molti di questi sono andati quasi persi: un gran peccato se si considera quanto queste antiche varietà colturali avrebbero potuto raccontarci della cultura contadina di un tempo e del loro legame con il territorio. Un patrimonio che adesso invece è possibile in parte recuperare grazie a progetti come quello portato avanti dall’Università di Siena, il “Progetto Farfalla”, che mira all’identificazione e la valorizzazione di specie vegetali di filiera e delle tecniche di coltivazione nella Toscana meridionale. Un’iniziativa a cui il CCS non può che guardare con estremo interesse per due importanti ragioni: primo perché la zona di riferimento su cui viene effettuata la ricerca ricalca proprio le zone di appartenenza della denominazione. E secondo perché da sempre quello del Chianti Colli Senesi è un consorzio molto legato alla tradizione e alla valorizzazione dei vitigni autoctoni, primo fra tutti il sangiovese, vitigno che per disciplinare è alla base della propria vinificazione con un minimo di un 75%. Sempre per disciplinare infatti, sono ammesse alla produzione le uve dei vitigni idonei alla coltivazione nell’ambito della regione Toscana nella misura massima del 25% del totale. Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, aggiunti singolarmente o congiuntamente non devono infine superare il limite massimo del 10%, mentre i vitigni a bacca bianca non possono, singolarmente o congiuntamente, superare il limite massimo del 10%.
Una scelta molto precisa, fatta per avere la possibilità di vinificare anche con i vecchi vitigni della tradizione toscana: Canaiolo, Colorino, Saragiolo o Ciliegiolo, mantenendo al contempo l’opzione di utilizzo dei vitigni a bacca bianca, allo scopo di poter offrire dei vini freschi di pronta beva che incontrano il gusto dei consumatori. In questo senso allora, la riscoperta di antichi vitigni, se introdotti nell’elenco dei vitigni complementari autorizzati, potrebbe sicuramente aiutare i produttori del Chianti Colli Senesi a offrire un prodotto che si differenzia anche dagli altri Chianti, trovando il proprio sbocco in una fetta di mercato più ricercata ed esigente. A livello di marketing infatti, la possibilità di introdurre nel disciplinare quelli che sono denominati come “antichi vitigni” non potrebbe che giovare all’intero comparto, contribuendo alla creazione di una nicchia di mercato estremamente particolare perché sensibile al fascino della ricerca dell’antico, un concetto molto bene esemplificato da un vitigno sapientemente recuperato e valorizzato in una produzione sicuramente non standard, “rimesso in pista” appositamente per soddisfare gli avanzati gusti del consumatore del XXI secolo con l’esperienza di una pratica enologica vecchia di millenni.
“In un mercato che sta diventando sempre più globale – dice Cino Cinughi de Pazzi, presidente del Consorzio Chianti Colli Senesi – dove spesso per sopravvivere si sceglie il fattore prezzo a discapito di quel requisito minimo qualitativo a cui il consumatore avrebbe diritto, la politica del Chianti Colli Senesi è invece quella di offrire una qualità certa, strettamente connessa al territorio di origine, dotata di una spiccata personalità, a un prezzo sicuramente competitivo. Una sfida certamente non facile, ma di certo interessante, per cui anche iniziative come quella portata avanti dal “Progetto Farfalla”, atta al recupero degli antichi vitigni della nostra zona, potrebbero segnare un’ulteriore passo in avanti nell’offerta di un sempre maggiore livello qualitativo complessivo. Auguriamo quindi agli ideatori del “Progetto Farfalla” il più completo successo. Il lavoro da fare sarà tanto ma sicuramente non mancheranno le soddisfazioni.”