La mostra si articola in una serie di opere: lavori su carta o tela, calchi, scritte; realizzate con differenti tecniche che vanno dall’affresco su tavola, alla scultura in cemento.
Il titolo. Il titolo è tautologico. “Vorrei dire queste parole” perché vorrei effettivamente dire queste stesse parole. Il significato rimbalza tra il futuro, l’aspettativa delle parole che si ritiene si stiano per sentire, e il passato delle parole appena dette che erano il presente a cui bisognava prestare attenzione. If everyone lives in the future, the present is of one diceva il testo di una canzone dei Residents.
Le opere. Tutti i lavori esposti sono tasselli di un autoritratto: i piedi; la mano; l’occhio; lo specchio; un pensiero. La mostra perciò è anche un’analisi sul tempo, un tempo che se ne è andato e non tornerà più. Per l’artista un vedere sè stesso come altro da sè.
«La lavorazione delle sculture è quanto di meno immediato ci possa essere, fare il calco, la cassaforma, colare, far asciugare, ripulire, correggere, ricolare. Positivo negativo positivo. Esterno interno esterno. O il contrario. C’è del tempo che viene trattenuto, in questa lavorazione, e rimane incapsulato nel prodotto finale. Questo riguarda la lavorazione. La visione invece è lampante, immediata».
Il filo. Lasciamo a Fabio chiarire qual è il filo che lega questo gruppo di lavori: «Una volta che rappresento parti di me, le opere diventano linguaggio. Uscire dalla scatola e vedersi da fuori. Quel piede destro è il calco del mio piede destro, ma ecco che ora per me non è più il mio piede, è un piede, il piede. Quindi, dicevo, è un autoritratto. Non il mio, ma il nostro; il piede è mio ma non è più mio, credo anche la mano. Non è più la mia mano, è altro da me, è tua per me ed è tua per te. Offre e riceve.»
La mostra mira a condurre il visitatore ad una riflessione sui rapporti che intercorrono tra pubblico, opere e artista. Proponendo un’arte come scambio, come motore d’empatia.
I lavori esposti a Chiusi, quindi, ci pongono una domanda: Qual è l’effettiva possibilità delle immagini di farsi traccia oppure sistema con cui raccontare l’attuale ri-definizione dell’identità personale ma anche collettiva?
Fabio Giorgi Alberti è nato nel 1980 in Olanda; vive e lavora a Bevagna. A sei anni, dai Paesi Bassi i suoi genitori migrano in Italia; qui perde la sua prima lingua e la rimpiazza con l’italiano. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti a Roma. Ha partecipato a numerose mostre in Italia e all’estero. Lavora con la scultura, il video e le parole. La sua arte ha a che fare con il tempo e lo spazio in cui viene esposta. Le opere d’arte sono un tunnel spazio temporale tra l’artista e lo spettatore, tra uno spettatore e un altro spettatore, tra il passato, il futuro e il momento presente.
Fabio Giorgi Alberti – Vorrei dire queste parole
dal 9 settembre al 14 ottobre 2018
vernissage: domenica 9 settembre ore 18
La mostra sarà visibile dalle vetrine della galleria tutti i giorni dalle ore 10 alle 24 o su appuntamento chiamando il 347 8330565
Info:
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