IL QUADRO
– Le negoziazioni per la formazione di un nuovo governo in Germania dovrebbero durare diverse settimane, ma il quadro che emerge dal risultato elettorale sembra spingere verso una soluzione che complica il processo di riforma della UE
– L’avvio del processo di normalizzazione del bilancio della Fed è stato il piatto forte della settimana passata
– Buono stato dell’economia dell’area euro confermato dagli indici PMI di settembre
– I mercati hanno mantenuto un’impostazione positiva la scorsa settimana, con indici azionari in ulteriore avanzamento.
LA FED INAUGURA LA FASE DI RITIRO DAL QE
A differenze della BCE, la Fed ha esaurito la fase degli acquisti di titoli (di stato, delle agenzie governative e MBS, mortgage backed securities) diversi anni fa limitandosi a reinvestire i proventi dei titoli in scadenza e delle cedole. La Fed ha avviato nel meeting della settimana scorsa la fase di normalizzazione del suo bilancio, annunciando che da ottobre inizierà a non reinvestire completamente i proventi. Allo stesso tempo ha lasciato invariate le previsioni dei suoi membri per un ulteriore rialzo dei tassi entro la fine dell’anno (dicembre sembra il mese più probabile) e ulteriori tre rialzi nel 2018.
Negli ultimi anni la Fed:
– Ha lasciato crescere il suo bilancio sino a circa 4,5 trilioni di USD (circa ¼ del Pil USA)
– E’ diventata il maggior detentore di titoli di stato USA e detiene circa ¼ degli MBS in circolazione
– Nel 2016, con i soli acquisti destinati a mantenere il portafoglio di titoli invariato, è stato finanziato circa il 40% del deficit di bilancio USA.
Indubbiamente il mercato dovrebbe essere più che preparato all’ingresso in questa nuova fase; i membri della Fed hanno segnalato con chiarezza che questa fase sarebbe arrivata e tonnellate di inchiostro sono state spese per analizzarne le implicazioni.
La linea di ragionamento che il consensus degli investitori segue è che il progressivo esaurimento del ruolo della Fed come attore dominante (e costantemente in acquisto) del mercato faciliterà un rialzo dei rendimenti dei titoli governativi che si propagherà a tutta la struttura dei rendimenti e influirà in qualche modo sulle altre asset class. Le stime di consensus vedono il rendimento del treasury a 10 anni salire dal 2,25% attuale al 2,46% per fine anno e a circa il 3% per fine 2018.
Alcuni osservano che la relazione tra gli acquisti della Fed e il livello dei rendimenti (dove gli acquisti dovrebbero spingere i rendimenti verso il basso e la mancanza di questi dovrebbe spingerli al rialzo) non è così banale. Il grafico sotto evidenzia che nelle diverse fasi di Quantitative Easing i rendimenti hanno registrato (controintuitivamente) un rialzo. E’ possibile che questo comportamento discenda dal fatto che le fasi di acquisto sono associate a momenti in cui la Fed ha gettato tutto il suo peso sull’obiettivo della reflazione; questo impegno è stato giudicato credibile dagli investitori che hanno anticipato ripresa ciclica, inflazione ed in ultima analisi una politica monetaria più restrittiva nel futuro. Queste attese sono state più volte contradette da una ripresa debole e dalla totale assenza d’inflazione, che hanno determinato un nuovo calo dei rendimenti una volta che i programmi di acquisto si esaurivano.
Anche nell’attuale fase il mercato pare essere molto cauto e, nonostante la revisione al rialzo avvenuta dopo il meeting della settimana scorsa, incorpora aspettative di aumento dei tassi ufficiali al di sotto di quanto previsto dagli stessi membri della Fed. In sintesi, dato il ruolo importante che i rendimenti dei treasury svolgono nella valutazione di tutto l’universo delle asset class, il modo in cui questi assorbiranno l’uscita di scena della Fed sarà cruciale per la direzione dei mercati nei prossimi mesi.
LA SETTIMANA
– Nell’area euro questa è la settimana dell’inflazione, con i numeri preliminari di settembre relativi a diversi paesi e all’intera area. Questi ultimi sono attesi all’1,6% (da 1,5% in agosto), indice core stabile all’1,2%
– Negli USA è in programma il rilascio del deflatore dei consumi e la terza stima del Pil del secondo trimestre (atteso al 3,1% dal 3% della seconda stima e dall’1,2% del primo trimestre)