Il suo nome grandeggia nelle cronache: Francesco Santini del monte Amiata detto il Gobbo Saragiolo, dal nome del suo villaggio. Fu il più esile e il più birbone di tutti i gobbi reali della Piazza rotonda del Campo. Esordì neppure diciassettenne nel 1823 con i colori della Chiocciola, che erano cari al suo “boss” che appunto lo fece debuttare.
Era il signor Giobatta Ciaya il quale fece subito scuola al suo pupillo. Intanto corruppe i fantini avversari come quello della Selva che aveva il miglior cavallo. Poi spedì un “killer” contro il Drago che fu bloccato. Tutti i traditori corrotti rallentarono in corsa ed il Gobbetto se ne andò a tagliare il traguardo per conto della Chiocciola. E’ rimasto anche un disegno del ragazzo smunto e già apprendista mascalzone.
Il gobbo Saragiolo lo ritroviamo, tanto per fare un esempio, nel Palio di Agosto del 1832, ma lasciamo la parola alla cronaca di allora cosi come la leggiamo nel bel libro di Paolo Tertulliano Lombardi “Memorie di Palio a cavallo di tre secoli”.
Anche stavolta la Selva era sicura di vincere dopo una dieta di quasi sessant’anni senza Palio, ma… tutto fu maneggiato perché vincesse il Gobbo che correva nell’Oca e che per colmo di birbanteria, si era tutto insaponato perché se mai fosse stato preso non potessero trattenerlo.
La povera Selva fu presa in mezzo sia dal Gobbo che dal “Boia” di Firenze (fantino per forza di cose spietato) e fu liquidato pochi metri dopo la mossa.
L’Oca vinse, concluse il cronista, però tutto per mezzo di intrighi. “Il Boia”, fantino dell’Aquila fu poi condannato ad otto giorni di carcere e ad esilio perpetuo da Siena. Al Gobbo invece non ci fu nessuno che osasse spianargli la schiena a legnate come quella volta avrebbe meritato.