L’apertura di settimana sui mercati è relativamente tranquilla con indici azionari asiatici generalmente in rialzo (Nikkei e Shanghai +0,8%) e indici europei poco variati. Il flusso di notizie nel fine settimana è stato particolarmente povero, con le primarie del centro-destra francese e la conferma della ricandidatura della Merkel gli unici elementi degni di nota.
Ad una decina di giorni dalle elezioni USA, sui mercati si delinea una prima lista di vincitori e perdenti (soggetta senza dubbio a diverse revisioni nelle prossime settimane). In breve: l’azionario ha ben performato, ma con alcune aree di debolezza, mentre l’obbligazionario vede perdite diffuse su tutti i settori.
1. Azionario USA e dollaro escono chiaramente vincenti sulle aspettative che il nuovo corso di politica economica generi crescita e, più in generale, un ambiente più favorevole al settore corporate. L’azionario Giappone figura in cima alla lista in base alla nozione che il forte deprezzamento dello Yen (-10% dai minimi di metà agosto) rinvigorisca l’export.
2. Tutto ciò che è paesi emergenti (azioni, bonds, valute) soffre; qui la supposizione è che le politiche commerciali della nuova amministrazione USA segneranno dei passi indietro sul fronte della globalizzazione e dell’apertura al libero commercio che hanno innescato il secolare re-rating degli assets emergenti.
3. All’interno dell’azionario europeo la variabile “Trump” incrocia i suoi effetti sulla performance con il tema del referendum italiano e della performance del settore bancario. La performance del FTSEMIB nei confronti dell’Euro Stoxx (dall’8 novembre) è spiegata molto semplicemente dal -10% delle banche italiane verso una performance attorno allo zero per le banche dell’Area Euro.
4. Per quanto riguarda il mondo delle obbligazioni, il processo di risalita dei rendimenti USA e Tedeschi ha determinato un re-pricing di tutto il comparto, con perdite sui corporate, high yield e come detto, sugli emergenti. Da notare però che le perdite su corporate/high yield sono state inferiori a quelle sui governativi (cioè funzione della risalita generale dei rendimenti più che di un allargamento degli spread). A meno di sviluppi inattesi, la prossima settimana non dovrebbe essere altro che una tappa di avvicinamento agli eventi chiave del mese di dicembre (referendum italiano il 4, meeting BCE l’8, meeting Federal Reserve il 14).
Nell’area euro saranno rilasciati una serie di indicatori di fiducia (indici PMI, IFO tedesco) relativi al mese di novembre. Dopo che il terzo trimestre ha confermato un ambiente di crescita decente (0,3% trimestrale per l’intera area, con sorprese positive dai paesi periferici), questi numeri sono utili per capire se questo sarà confermato anche nel quarto trimestre.
Nel Regno Unito è in programma (mercoledì 23) l’Autumn Statement, dove verranno dettagliati gli obiettivi di finanza pubblica. I motivi di interesse sono sia domestici che globali. Il predecessore dell’attuale Cancelliere Hammond aveva introdotto prima della Brexit un piano di austerità ambizioso che prevede un bilancio in pareggio per il 2020. D’altra parte il paese ha una delle peggiori posizioni fiscali tra i paesi avanzati, con un rapporto deficit/Pil medio di circa il 7% nel periodo 2008-2015. Dopo il referendum l’economia UK ha mostrato una notevole resilienza sinora, ma le aspettative continuano ad essere per un rallentamento marcato nei prossimi anni. Inoltre il vento è cambiato, con la lenta ma inesorabile accettazione della necessità di una politica fiscale più accomodante a livello globale. Dopo la mossa della Commissione Europea (allentamento delle politiche fiscali nei paesi dell’area che hanno spazio) ed in attesa delle mosse degli USA, è probabile che anche il Regno Unito introdurrà un impianto più accomodante e flessibile.