IL QUADRO
– Il proseguimento del percorso verso una guerra commerciale e il primo test di mercato per il capitalismo delle piattaforme sono al centro dell’attenzione e non estranei al drastico mutamento registrato nel sentiment di mercato
– Questa settimana, focus sugli USA, con i dati sull’inflazione, l’avvio della stagione degli utili Q1 e le audizioni del CEO di Facebook a diverse commissioni del Congresso USA
Il tema centrale della settimana è stato l’ennesimo episodio di quella che comincia ad assomigliare a una guerra commerciale: l’imposizione da parte di Cina e USA di tariffe reciproche del 25% su $50 mld di esportazioni con allo studio da parte degli USA di misure su altri $100 mld; il tutto seguito da dichiarazioni che evidenziano il tempo a disposizione per trattative bilaterali prima dell’entrata in vigore delle misure. In aggiunta, il mercato ha assistito all’apertura di un ennesimo fronte di conflitto tra l’amministrazione Trump e il complesso delle società che compongono il cosiddetto capitalismo delle piattaforme, con la minaccia di una revisione del prezzo che Amazon corrisponde al servizio postale USA. A fronte di questo, i dati su mercato del lavoro USA (al di sotto delle attese, ma con crescita dei salari in linea e tasso di disoccupazione stabile al 4,1%), solitamente centrali nelle dinamiche di mercato, hanno occupato un posto in seconda fila.
SENTIMENT DI MERCATO DANNEGGIATO
L’incerto processo di aggiustamento del mercato dopo il severo sell-off di fine gennaio-inizio febbraio ha determinato un chiaro mutamento del sentiment di mercato. Una proporzione crescente di investitori riconosce la distanza tra l’incerto ambiente attuale e quello che ha caratterizzato gli ultimi anni e comincia a percepire l’attuale fase come un possibile cambio di regime.
L’edizione di aprile di una investor survey molto seguita (Goldman Sachs Quick Poll, April 2018) mostra come dall’inizio di febbraio a oggi la proporzione di investitori che giudicano il sentiment per le asset class rischiose come bearish/molto bearish è passato dall’11% al 51%. Inoltre, la proporzione che si attende una discesa uguale o superiore al 20% dello S&P500 entro i prossimi 12 mesi è passata dal 30% al 45% (nonostante nel frattempo l’indice sia sceso di circa il 6%). Nel breve, il 48% del panel di investitori si attende per aprile una performance negativa dello S&P500.
Se questo sentiment estremamente pessimista fosse accompagnato da un posizionamento di portafoglio (su cui, non avendo nessun dato, potremmo solo congetturare) in linea con il sentiment, potremo essere in una situazione simile a quella già sperimentata in passato, dove valori estremamente negativi sono stati seguiti da rimbalzi delle asset class rischiose. In particolare nel 2016, valori simili agli attuali di pessimismo sono stati associati a rimbalzi del mercato in tre occasioni (marzo, luglio e novembre) e a perdite in due occasioni (una pesante, -5%, in gennaio e una marginale in febbraio).
CAPITALISMO DELLE PIATTAFORME AL PRIMO VERO TEST DI MERCATO
In una delle analisi più convincenti delle implicazioni della diffusione del cosiddetto “capitalismo delle piattaforme” (Platform Capitalism, in italiano Capitalismo Digitale), Nick Srnicek mette a fuoco la tendenza di alcune società a diventare proprietarie dell’infrastruttura dell’economia globale e a creare, nel percorso, dei monopoli (o, nella migliore delle ipotesi, degli oligopoli). Mentre la precedente amministrazione USA ha accompagnato questa tendenza senza contrastarla, l’attuale amministrazione ha qualcosa da eccepire. In aggiunta, ci sono stati diversi sviluppi recentemente che farebbero ritenere che le azioni che costituiscono l’ossatura del capitalismo delle piattaforme (il complesso “FANG”: Facebook, Amazon, Netflix, Google, ora Alphabet, a cui in settimana si è aggiunta, con la quotazione al NYSE, Spotify, la piattaforma leader nello streaming), dopo un lungo periodo di crescita in cui hanno contribuito materialmente al rally del mercato azionario USA, stanno attraversando il loro primo severo test di mercato. Amazon (-2,9% in settimana) ha sofferto le dichiarazioni di Trump che chiede una revisione del prezzo che la società paga al servizio postale USA; Facebook (-1,6% in settimana, -11% da inizio anno) è stata travolta dall’emersione del caso Cambridge Analityca. Al di fuori del complesso FANG, Tesla (+12% in settimana, ma -22% a marzo) ha dovuto fronteggiare una tempesta perfetta per la società nelle ultime settimane: il richiamo di 123mila unità del Model S, l’incidente che ha coinvolto una auto che utilizza il sistema autopilot, la produzione del Model 3 al di sotto delle attese. Moody’s ha abbassato il rating a B3 da B2 citando la pressione sulla liquidità dovuta al flusso di cassa negativo.
Al di là delle problematiche specifiche di ogni protagonista, l’elemento di preoccupazione è rappresentato dalla prospettiva di un ambiente caratterizzato da più regolamentazione e più tasse. Dato il peso dei titoli di queste società nella borsa USA e la leadership che hanno esercitato nel lungo rally, ci si può aspettare un discreto livello di attenzione e nervosismo quando nei prossimi giorni il CEO di Facebook affronterà l’audizione di fronte a diverse commissioni del Senato e della Camera.
LA SETTIMANA
– Sul fronte macro, in uscita l’inflazione USA e le minute del meeting della Fed di marzo.
– Sempre negli USA, prende avvio la stagione degli utili del Q1 con tre delle grandi banche che riportano venerdì.
– Domani e mercoledì il CEO di Facebook Zuckerberg apparirà di fronte a diverse commissioni del Senato e della Camera USA.