IL QUADRO
– Lo S&P500 ha messo a segno un rally dello 0,9% venerdì sulle conferme di supporto al programma fiscale dell’amministrazione Trump da parte di alcuni senatori indecisi nel voto finale che si terrà questa settimana. Il momento positivo continua stamane sui mercati asiatici (Nikkei +1,5%) ed europei.
– Il 2017 costituisce il sesto anno consecutivo di rialzi per i mercati azionari area euro e giapponesi e il nono anno consecutivo per il mercato azionario USA (dividendi inclusi). I rendimenti e gli spreads delle obbligazioni societarie sono sui minimi storici. Un primo sguardo alle aspettative per il 2018 indica la mancanza di un chiaro fattore di rischio condiviso e una continuazione dell’ambiente positivo.
UN PRIMO SGUARDO ALLE ASPETTATIVE PER IL 2018
La prima osservazione che emerge analizzando i report delle banche d’investimento internazionali sulle prospettive per l’anno prossimo è la mancanza di un chiaro fattore di rischio condiviso. All’inizio del 2016 i timori per un rallentamento dell’economia globale erano diffusi e per il 2017 il rischio politico era la principale preoccupazione, dopo l’elezione di Trump e alla vigilia di un intenso ciclo di elezioni in Europa. A posteriori possiamo dire che nessuno di questi fattori si è materializzato, regalando un ambiente di mercato estremamente positivo per le asset class rischiose.
Sul fronte del mercato obbligazionario, i rendimenti governativi a dieci anni sono visti dalla survey di consensus Bloomberg in salita di circa mezzo punto percentuale negli USA e in Germania. Per quanto riguarda l’Italia, il decennale Btp è visto al 2,5% per fine 2018 dal 1,75% attuale.
Pur in assenza, come detto, di un chiaro fattore di rischio condiviso, le elezioni italiane di questa primavera sono citate come uno degli eventi chiave da tenere sotto osservazione, per le sue implicazioni che potrebbero essere non solo domestiche. Rimanendo sul quadro politico, un altro tema che viene citato come possibile rischio è un percorso delle negoziazioni sulla Brexit che conduca ad un divorzio disordinato (la cosiddetta Hard Brexit). Sotto il profilo macro, i due rischi classici, un rallentamento marcato del ciclo e una risalita decisa dell’inflazione sono citati, ma non paiono essere al centro delle preoccupazioni degli investitori.
Un’ipotesi che potrebbe essere avanzata è che il fattore critico principale per i mercati non provenga dall’esterno, ma dalle dinamiche interne del mercato. La bassa inflazione e la bassa volatilità dell’inflazione ha compresso i premi al rischio sul mercato obbligazionario, mentre un robusto ciclo economico e degli utili ha supportato le valutazioni del mercato azionario. Il risultato è che tutte le asset class presentano livelli di valutazione che si collocano nella parte alta del range storico,. In aggiunta, il posizionamento degli investitori appare come aggressivo, con una alta allocazione alle asset class rischiose e bassi livelli di liquidità. Il rischio in questo tipo di ambiente è che i mercati stiano prezzando pienamente lo scenario benigno incorporato dal consensus e che anche minime deviazioni da questo scenario possano provocare correzioni apprezzabili nel corso dell’anno.
FED/BCE: UN MIGLIORAMENTO DEL QUADRO MA NESSUN CAMBIO DI MARCIA PER ORA
Se c’è una singola osservazione comune ai meeting della Fed e della BCE di questa settimana questa è: entrambe hanno riconosciuto i recenti miglioramenti ciclici, rivedendo al rialzo le stime sulla crescita, ma entrambe si sono adoperate per evitare che il mercato inferisca da questa revisione un cambio di marcia, in senso più restrittivo, della politica monetaria. La motivazione per entrambe è che data la persistente incapacità dell’inflazione di comportarsi in maniera “corretta” negli ultimi anni, salendo man mano che l’economia si avvicina e supera il suo potenziale, le stime sull’inflazione sono rimaste invariate.
Poche ore prima del meeting della Fed il dato dell’inflazione di novembre aveva sorpreso al ribasso per il settimo mese negli ultimi nove. Nonostante questo la Fed ha consegnato l’atteso rialzo di 25 punti base (1,25/1,50% il nuovo range per il Fed Funds Rate) e le proiezioni trimestrali hanno evidenziato una revisione al rialzo delle stime di crescita e al ribasso sul tasso di disoccupazione, lasciando però le stime sull’inflazione invariate. Quest’ultimo elemento ha permesso di mantenere invariata (3 rialzi nel 2018, 2 nel 2019) la media delle previsioni sul tasso di politica monetaria (i cosiddetti FOMC dots).
La BCE ha rivisto al rialzo le stime di crescita, alzando di addirittura mezzo punto percentuale (dal 1,8% al 2,3%) quella del 2018; l’economia dell’area euro sta operando al di sopra del suo potenziale, ed è quindi logico che la BCE si attenda un trend della crescita al ribasso negli anni seguenti (1,7% nel 2020). Allo stesso tempo l’inflazione 2018 è stata rivista al rialzo per l’indice generale, per effetto dell’aumento delle materie prime energetiche, ma quella core (depurata dalle componenti più volatili) è stata abbassata al 1,1% (dal 1,3%). Così come per la Fed, questo ha permesso a Draghi durante la conferenza stampa di utilizzare un tono molto rilassato, evitando di introdurre qualsiasi elemento che possa essere interpretato come un segnale di modifica dell’impostazione di politica monetaria.
LA SETTIMANA
– Il percorso della riforma fiscale USA dovrebbe concludersi nei prossimi giorni con il voto sulla versione definitiva sia alla Camera che al Senato. Il margine dei Repubblicani al Senato è minimo ma venerdì scorso alcuni senatori repubblicani indecisi hanno confermato il loro voto favorevole. Tutto il possibile verrà fatto per approvare la riforma ora, prima che a gennaio subentri un nuovo Senatore (democratico) e la maggioranza si riduca ulteriormente.
– Giovedì sono in programma le elezioni regionali catalane, con i sondaggi che indicano un sostanziale equilibrio tra i partiti pro e anti-indipendenza.