Brexit e Trump. Pare di scorgere qualche regolarità: entrambi eventi non previsti dai sondaggi; entrambi eventi potenzialmente catastrofici per i mercati; e per entrambi abbiamo assistito a reazioni negative che si sono dissolte rapidamente. Il prossimo evento importante per i mercati dell’area euro è il referendum costituzionale italiano del 4 dicembre. Aggiungeremo un eventuale NO alla lista?
Il bilancio della settimana passata si è chiuso con indici azionari in apprezzamento tra il 2,6% (Euro Stoxx) e il 3,8% (S&P500), con il settore bancario su del 7,5% nell’area euro e di circa il 12% negli USA. Lo S&P500 si trova circa l’1,2% sotto i massimi del 15 agosto. Sui mercati obbligazionari la supposizione era quella di una reazione: (1) positiva (rendimenti giù, prezzi su) nell’immediato ed in risposta all’atteso declino dei mercati azionari, (2) negativa dopo che le implicazioni della politica fiscale espansiva promessa in campagna elettorale in termini di deterioramento della posizione fiscale USA fossero state chiare. Essendo il mercato un enorme meccanismo di sconto, la fase (1) è stata evidentemente saltata per passare direttamente alla fase (2). La risalita è stata particolarmente severa negli USA (10y al 2,15%, +30 punti base nella settimana); nell’area euro il movimento è stato di un ordine di grandezza inferiore ma ha comunque portato i rendimenti ben lontano dal range della primavera-estate, quando i rendimenti sul Bund sono scesi in territorio negativo. In particolare il decennale Btp al 2%, un livello inviolato dal settembre 2015 e ben superiore al 1,6% di inizio anno.
Due interpretazioni possibili: (a) il mercato sta credendo ciecamente alla narrativa che si sta formando dopo l’elezione di Trump, che prevede un ambiente estremamente favorevole per il settore corporate (tagli tasse, deregulation) ed una spinta all’economia proveniente dalla politica fiscale espansiva che porterà l’economia USA su un sentiero di crescita più elevato, (b) il mercato ha approcciato l’evento con un posizionamento leggero in termini di rischio; il rally è dovuto a short covering (copertura di posizioni corte) e riaggiustamenti di portafoglio marginali e una volta terminata questa fase il rally si interromperà.
E’ evidente che le vere implicazioni di medio-lungo periodo del cambiamento non saranno chiare per parecchio tempo. Nel frattempo si sta formando un forte consensus attorno ad alcune conseguenze nel breve:
1. Ritorno alla supply side economics (politiche dell’offerta) in voga negli anni ’80, con deregulation, taglio delle tasse, riforma delle tasse societarie. In generale tutte misure che beneficiano il settore delle aziende (specie medio-grandi). Come questo verrà digerito dalla classe media deprivata che pare abbia spinto Trump verso la presidenza sarà interessante vedere.
2. Potente stimolo fiscale, centrato sugli investimenti infrastrutturali. Alcuni calcoli (es. Committee for a Responsible Federal Budget) sui programmi fiscali di Trump delineati vagamente prima delle elezioni suggeriscono uno stimolo attorno al 2,5% del Pil su un orizzonte di 10 anni. Da notare che questo stimolo, certamente importante, verrebbe iniettato in un’economia che sta funzionando attorno al suo potenziale. Diversi studi (es. Congressional Budget Office) evidenziano che l’impatto di uno stimolo fiscale in termini di maggiore crescita è nettamente inferiore quando l’economia si trova in queste condizioni rispetto ad una situazione in cui la crescita è inferiore al potenziale.
In isolamento l’effetto dei punti 1 e 2 sopra sarebbe una ricetta da libro di testo per avere tassi più alti e un dollaro più forte, una combinazione che secondo alcuni potrebbe diventare il tema dei prossimi mesi. Un altro ingrediente della politica economica USA potrebbe però agire da freno:
3. Trump ha dichiarato che gli USA dovrebbero rivedere gli accordi commerciali in senso più intelligente, e che questo significa in un senso che avvantaggi gli USA. Al di là della frase ad effetto, è evidente che la revisione degli accordi in senso più restrittivo e il possibile impatto negativo sul commercio mondiale dovrebbe limitare qualsiasi effetto positivo sul resto del mondo delle politiche domestiche espansive USA.
4. Un ulteriore tema è costituito dalle ripercussioni sullo scenario politico dell’area euro. I prossimi eventi chiave su questo fronte sono il referendum costituzionale italiano (dove un eventuale NO rischia di essere associato al filone Brexit-Trump-etc), e le elezioni politiche in Olanda (marzo 2017) e presidenziali in Francia (23 aprile, con ballottaggio 7 maggio).
In termini prospettici, in aggiunta al processo di calibrazione delle implicazioni delle presidenziali USA, gli eventi da osservare saranno:
1. La pubblicazione (mercoledì 16) dell’opinione della Commissione Europea sul bilancio programmatico dell’Italia. Come noto, la diatriba ruota attorno all’aumento dello 0,4% del deficit strutturale del 2017 in luogo della riduzione dello 0,6% promessa in primavera. La sensazione è che, con il referendum alle porte, la vicenda si possa e debba chiudere con un accordo.
2. I dati sulla crescita del Pil nel terzo trimestre in Italia e Germania, dove il consensus si attende una crescita trimestrale dello 0,2% e dello 0,3% rispettivamente. Per quanto riguarda l’Italia i dati di settembre sulla produzione industriale, pur segnando un calo rispetto ad agosto, hanno evidenziato una crescita nel Q3 del 1,1%, la crescita trimestrale più alta dal Q3 del 2010. Con una crescita del Pil in linea con le attese (0,2%) e escludendo una crescita negativa nell’ultimo trimestre dell’anno, il Pil dovrebbe chiudere il 2016 con una crescita dello 0,8%, un numero non particolarmente eccitante ma in linea con il consensus e con le ultime stime del governo, nonché superiore allo 0,6% registrato nel 2015.