“Il cancro mammario è una patologia complessa. Tale complessità è persino più accentuata in giovani donne nelle quali la diagnosi venga posta entro i 45 anni. Infatti, in questo gruppo di pazienti mammari la malattia tende ad assumere un atteggiamento particolarmente aggressivo” afferma il dottor Massimiliano D’Aiuto, chirurgo mammario presso la Fondazione G. Pascale di Napoli.
In questo studio, i ricercatori hanno focalizzato la propria attenzione sul ruolo svolto dall’obesità generalizzata espressa attraverso l’indice di massa corporea (BMI) sugli esiti del trattamento in pazienti di età pari o inferiori a 45 anni trattate con chemioterapia (CT) e poi sottoposte ad intervento chirurgico. “Sulla scorta delle nostre conoscenze, nessuno studio precedente ha valutato il ruolo del BMI focalizzando in maniera specifica l’attenzione su donne che abbiano ricevuto una diagnosi di cancro mammario in giovane età e che siano state poi trattate con chemioterapia e chirurgia. Data la natura “modificabile” del BMI, un’attenta valutazione dell’associazione tra questo indicatore di osesità generalizzato e gli esiti del trattamento in giovani donne particolarmente interessante in termini di ricerca scientifica” afferma la dottoressa Maddalena Barba, ricercatrice presso l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, coordinatrice dello studio.
“Numerosi meccanismi possono concorrere a fornire un razionale biologico al ruolo del BMI sugli esiti del trattamento in donne giovani. I determinant di potenziale interesse spaziano dagli ormoni, alle adipocitochine, e ai mediatori di processi infiammatori, quail le citochine. Si tratta di fattori in grado di modulare aspetti chiave della sopravvivenza cellular e apoptosis, migrazione e proliferazione cellulare, Parliamo di processi che svolgono un ruolo fondamentale nell’insorgenza e progression delle malattie neoplastiche. Lo studio dei meccasismi e pathway sottesi potrebbe contribuire in maniera significativa a migliorare gli esiti del trattamento in questo gruppo di pazienti, I quail sono particolarmente vulnerabilinei confronti del carico, familiar, sociale ed economic legati alla malattia” chiarisce e conclude il professor Antonio Giordano, scienziato senior scientist, supervisore dell’intero progetto.